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Mobbing: come difendersi dalle vessazioni sul posto di lavoro

Quali sono le tutele per i lavoratori vittima di mobbing? Che cosa prevede l’ordinamento italiano e come difendersi?

 
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Mobbing: come difendersi dalle vessazioni sul posto di lavoro

Quali sono le tutele per i lavoratori vittima di mobbing? Che cosa prevede l’ordinamento italiano e come difendersi?

Cos'è il mobbing?

Il termine mobbing (dal verbo to mob = affollarsi intorno a qualcuno o anche malmenare) definisce tutti quei comportamenti persecutori, atti o condotte vessatori perpetrati da un datore di lavoro o da un collega verso un dipendente con la finalità di emarginare la vittima o costringerla a dare le dimissioni.

L’ordinamento italiano non prevede una norma specifica né una definizione chiara dei comportamenti che possono configurare il mobbing che, nemmeno a livello penale, è contemplato come reato.

Le tutele, tuttavia, esistono ma vanno ricavate dalla giurisprudenza di legittimità e da diverse norme previste dal Codice civile e dalle leggi.

Il mobbing: come riconoscerlo

La riconoscibilità delle condotte di mobbing ai fini di una tutela e di un’azione legale è spesso molto difficile, circostanza che spinge molti a non denunciare, a sopportare o ad abbandonare il luogo di lavoro.

Il mobbing si configura solitamente come una forma di sopruso e di violenza psichica che si protrae nel tempo da parte di un datore di lavoro, di un superiore gerarchico o anche di un collega ai danni di un lavoratore.

Per poter parlare di mobbing è necessario che i comportamenti aggressivi e vessatori siano reiterati nel tempo, non episodici od occasionali e che tali condotte finiscano per generare uno stato di stress e di disturbo dell’equilibrio psico-fisico nel lavoratore vittima.

In assenza di una norma precisa che identifichi la fattispecie è stata la giurisprudenza di legittimità a definire spesso i contorni di questa condotta che trova nelle vessazioni, nelle mortificazioni pubbliche, nelle umiliazioni, nelle critiche immotivate, nell’ostracismo i suoi tratti salienti. Inoltre, per parlare di mobbing, occorre che il lavoratore bersaglio di questi comportamenti abbia sviluppato sintomi psico-somatici tanto da dover ricorrere, in alcuni casi, a cure mediche o al supporto di uno specialista (psicoterapeuta, ecc).

Deve inoltre esserci – e qui risiede la difficoltà della vittima nel fornire una prova – un chiaro intento persecutorio in capo a chi si rende responsabile di tali comportamenti.

Le tutele e l’assenza di norme precise

Il legislatore italiano non ha mai, finora, normato l’aspetto delle vessazioni sul posto di lavoro tanto che la tutela viene prevista facendo riferimento a diverse norme contenute nelle leggi e nei codici.

Una tutela, peraltro piuttosto generica, è contenuta nella Costituzione con gli articoli 32, che tutela il diritto alla salute, 35 che sancisce il diritto al lavoro e 41 che prevede un divieto alle attività economiche private che recano danno alla dignità umana.

Il Codice penale non contiene alcuna norma riguardante il mobbing ma, almeno nei casi più gravi, una tutela può essere offerta dall’art. 590 che punisce le lesioni personali gravi e dall’art. 612 bis che riguarda invece gli atti persecutori (stalking).

La normativa civilistica poggia invece sull’art. 2043 c.c. che prevede il diritto al risarcimento in caso di danno ingiusto. L’art. 2087 c.c. impone invece all’imprenditore di garantire al lavoratore le condizioni di sicurezza e di rispetto della dignità personale sul luogo di lavoro.

La norma, contenuta nello Statuto dei Lavoratori (l. 300/1970), che punisce la discriminazione del lavoratore può essere un ulteriore base per motivare un’azione legale per mobbing.

La Cassazione, con la sentenza 12827/2022, ha ulteriormente chiarito i profili del mobbing condannando un imprenditore al risarcimento del danno per “stalking occupazionale”, avendo egli ingenerato tra i dipendenti un perdurante stato di ansia e di paura tale da aver costretto i lavoratori ad alterare le proprie abitudini di vita.

La stessa Corte, con sentenza 35235/2022 ha inoltre precisato che l’elemento qualificante del mobbing non va ricercato nella legittimità o illegittimità delle condotte bensì nell’intento persecutorio.

Come difendersi dal Mobbing? Il risarcimento del danno

I rimedi a disposizione del lavoratore vittima di mobbing sono quelli civilistici attraverso la richiesta di un risarcimento del danno nei confronti del datore o dei colleghi.

Il ricorrente può agire per chiedere un risarcimento del danno biologico per via delle lesioni psico-fisiche cagionate dalle condotte persecutori, per danno morale e per danno esistenziale se le condotte hanno determinato un notevole peggioramento delle condizioni di vita quotidiana. Resta poi la possibilità di agire anche per un danno patrimoniale qualora il mobbizzato abbia dovuto sostenere spese mediche.

A rendere ulteriormente difficile l’azione legale è l’onere della prova che ricade sul mobbizzato. Questi deve infatti poter provare, oltre ogni ragionevole dubbio, che le condotte perpetrate dal datore di lavoro o da un collega rispondano alla fattispecie di mobbing.

L’aspetto più difficile da provare è sicuramente il nesso di causalità tra le condotte vessatorie e persecutorie del datore di lavoro e i danni psico-fisici in capo al lavoratore.

Le indagini di mobbing, la raccolta delle prove e il ruolo degli investigatori

L’Agenzia investigativa Dogma S.p.A., grazie alla professionalità e all’esperienza dei suoi investigatori, è in grado di fornire un valido supporto ai soggetti vittima di mobbing, aiutandoli a individuare e a raccogliere le prove necessarie a dimostrare l’intento persecutorio delle condotte di un datore di lavoro o di un collega.

Attraverso attività come l’osservazione statica o dinamica (appostamento o pedinamento), l’OSINT e la raccolta di documentazione (documenti, mail, registrazioni, ecc) gli investigatori dell’Agenzia Dogma possono definire un fascicolo probatorio che potrà sostenere l’azione legale e le pretese giuridiche del soggetto vittima di mobbing.

 

Riferimenti normativi:

L. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori)
Art. 2043 e 2087 c.c.
Art. 590 e 612 bis c.p.
Cassazione, 5 aprile 2022, n. 12827
Cassazione, 30 novembre 2022, n. 35235

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