Il congedo parentale è un diritto riconosciuto nell’ordinamento italiano a partire dal D.lgs 151/2001 e che trova ulteriore sanzione nel diritto europeo con la Direttiva UE 2019/1158. È finalizzato a consentire ai genitori di assentarsi dal lavoro per accudire i figli, soprattutto nei primi anni di vita (è comunque fruibile entro i 12 anni di età dei figli).
Come tutti i tipi di permessi retribuiti anche il congedo parentale si presta – con una casistica sempre più frequente – all’abuso da parte dei beneficiari.
La Cassazione, con la sentenza n. 2618/2025, si è pronunciata sul caso del dipendente di un’azienda che, avendo richiesto un congedo parentale, svolgeva in quelle ore una seconda professione lavorando presso una concessionaria di automobili. Determinanti, nella definizione del caso e nella legittimità del licenziamento per giusta causa, sono state le indagini investigative affidate a un’agenzia per accertare la condotta illecita.
Il giudice delle leggi, confermando l’orientamento del giudizio di merito, ha ribadito che l’uso del congedo parentale per svolgere attività lavorativa si pone in contrasto con le sue finalità, costituisce grave violazione del dovere di fedeltà ex art. 2105 c.c. e legittima quindi il datore di lavoro a licenziare il dipendente per giusta causa.
La Corte di Cassazione si è pronunciata molto spesso su questo tipo di illecito. Celebri sono le sentenze 509/2018 e 16207/2018 nelle quali era stato riconosciuto lo sviamento della funzione tipica del congedo; nel primo caso l’autore dell’abuso aveva, nei 10 giorni di congedo fruiti, atteso alle necessità della prole per meno della metà del tempo, nel secondo, invece, la persona beneficiaria svolgeva una seconda mansione professionale nelle ore coperte da permesso.
Tale fattispecie, sempre più frequente, induce i datori di lavoro a rivolgersi alle agenzie investigative per procurarsi la prova dell’illecito.
A norma dell’art. 32 del D.lgs. 151/2001 ciascun genitore ha il diritto al congedo parentale in misura complessivamente non superiore ai 10 mesi, da fruire entro i primi 12 anni di vita del figlio. La madre ne ha diritto una volta trascorso il periodo di maternità fino a un massimo di 6 mesi, il padre dalla nascita del figlio sempre fino ai 6 mesi, elevabili a 7 se si astiene per tre mesi. Nel caso vi sia un solo genitore questi ha un massimo di 11 mesi.
I congedi possono essere fruiti anche in modalità oraria, nel rispetto della contrattazione collettiva.
La principale finalità del congedo è quella permettere ai genitori di prendersi cura dei propri figli nei primi anni di vita, promuovendo un legame affettivo solido e un sano sviluppo psico-fisico del bambino.
Ne consegue che le ore coperte dal congedo devono essere impiegate per queste finalità. Qualsiasi utilizzo diverso può comportare un abuso. È quello che succede se, ad esempio, il genitore ne fruisce per svolgere attività personali (es. andare in palestra) o per svolgere una seconda attività professionale.
La principale conseguenza dell’abuso del congedo parentale è il licenziamento per giusta causa. Il dipendente che si rende autore di questa condotta viola il dovere di fedeltà sancito dall’art. 2105 c.c. e genera inoltre disvalore sociale alla luce delle finalità per cui è concepito il congedo.
Il dipendente va inoltre incontro a conseguenze sul piano della responsabilità aziendale perché la sua condotta viola le norme contrattuali e potrebbe ledere anche le norme di condotta stabilite dall’azienda.
L’Inps, che eroga le indennità, potrebbe inoltre agire contro il lavoratore per la restituzione delle stesse in caso di accertato abuso del congedo.
Il lavoratore che beneficia del congedo non deve utilizzare tale diritto per svolgere una seconda attività professionale, fosse anche in un’azienda del coniuge o di un parente. Lo stesso divieto vale per l’attività commerciale.
Il congedo non può inoltre essere fruito per “staccare dal lavoro”, concedendosi quindi il dipendente momenti di svago (palestra, attività sportive, eventi culturali, ecc…), né il genitore può affidare il figlio a terzi per potere beneficiare del tempo libero.
Nella distinzione tra utilizzo lecito e sospetto l’elemento dirimente è la coerenza con la finalità del congedo, vale a dire la cura concreta del figlio. È lecita, dunque, qualsiasi attività che sia compatibile con la cura effettiva del minore: accompagnare il bambino alle visite mediche, occuparsi della sua igiene, alimentazione o educazione. Lo stesso vale per le brevi commissioni o per le attività domestiche ordinarie se sono compatibili con la sorveglianza del minore.
Può risultare invece sospetta l’attività che, pur essendo lecita, è preponderante rispetto alla cura del bambino, comporta assenza prolungata dal domicilio del figlio, è finalizzata a interessi personali non compatibili con le esigenze del minore o si svolge in luoghi o orari incongruenti
L’interpretazione giurisprudenziale ruota attorno alla motivazione della condotta. Svolgere un’altra attività, ad esempio in un esercizio commerciale di famiglia, non è di per sé illecito ma lo diventa se incompatibile con il compito di cura del figlio (Cassazione n. 508/2018).
Il datore di lavoro può avviare un’indagine, affidandosi a un’agenzia investigativa, qualora nutra il sospetto che i congedi parentali vengano richiesti a scopo fraudolento.
L’intervento di un’agenzia investigativa è spesso indispensabile perché si tratta di condotte che possono essere accertate soltanto al di fuori del luogo di lavoro, ad esempio mediante tecniche di osservazione dinamica o statica del dipendente sospettato.
L’indagine deve naturalmente rispettare i principi di proporzionalità e soprattutto essere svolta nel rispetto della privacy. Le attività investigative non possono quindi eccedere l’accertamento dell’eventuale abuso del congedo parentale e non essere invasive o lesive della privacy del dipendente sospettato.
La sentenza della Cassazione n. 2618 del 4 febbraio 2025 ha stabilito la liceità del ricorso a un investigatore privato, ritenendo ammissibili le prove raccolte (l’investigatore si era finto un cliente della concessionaria nella quale il dipendente sospettato prestava una seconda attività lavorativa sfruttando il congedo parentale) e ascoltando lo stesso come teste.
Occorre ricordare che solo prove raccolte nel rispetto delle leggi vigenti potranno essere eventualmente ammesse in tribunale. È per questo motivo che gli investigatori privati sono alleati indispensabili. Soltanto chi si occupa professionalmente di indagini aziendali è in grado di svolgere attività come il pedinamento, l’appostamento, l’acquisizione di video e immagini, la raccolta di documenti senza infrangere la legge.
Come accennato i dati e le informazioni devono essere raccolti nel rispetto delle leggi. Il soggetto sospettato di abusare dei congedi parentali dovrà essere seguito nei suoi spostamenti al di fuori dell’orario di lavoro per poter accertare che si rechi, ad esempio, presso altra azienda per svolgere mansioni lavorative, che si dedichi ad attività incompatibili con le esigenze di cura e accudimento della prole.
Il pedinamento e l’appostamento, propedeutici alla realizzazione di riprese video-fotografiche sono, nella prassi, le attività investigative maggiormente utilizzate in questi casi. Accertare che, durante le ore coperte dal congedo, il dipendente abusa del diritto riconosciuto richiede spesso che vengano raccolte prove anche circa gli orari e le tempistiche.
L’investigatore, accanto alla funzione consulenziale e all’attività di indagine vera e propria, può inoltre essere di supporto durante la fase giudiziale, qualora il giudice decida di ascoltarlo come teste.
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