Il lavoratore, secondo il d.lgs 66/2003, ha diritto a fruire di pause di lavoro se la prestazione supera le sei ore giornaliere. La durata di queste pause è prevista dalla contrattazione collettiva nazionale ma non può comunque essere inferiore ai 10 minuti. Che cosa succede però se il lavoratore abusa della pausa e sottrae tempo al lavoro eccedendo i tempi consentiti?
La Cassazione si è recentemente pronunciata sulla questione con l’ordinanza 27610/2024 che ha ritenuto valido il licenziamento di un lavoratore con mansioni di coordinamento che trascorreva periodi di tempo molto lunghi, anche fino a 45 minuti, in un bar all’esterno del luogo di lavoro, intrattenendosi con i colleghi. Le pause, nel caso specifico, erano inoltre reiterate e lasciavano intuire l’obiettivo di sottrarre volontariamente tempo alla prestazione lavorativa.
I giudici hanno infatti ritenuto che la sanzione del licenziamento fosse proporzionata alla condotta tenuta dal lavoratore, sottolineando come un abuso delle pause sia da ritenere un uso improprio dell’orario di lavoro. A parere della Corte, nel caso specifico, rilevavano anche la reiterazione del comportamento e il ruolo di responsabilità del lavoratore.
Un altro aspetto della vicenda, contestato dal lavoratore licenziato in sede di giudizio, è l’utilizzo degli investigatori privati da parte dell’azienda per accertare la condotta illecita. La Corte ha ribadito, ancora una volta, la legittimità del ricorso alle agenzie di investigazione privata per l’accertamento dei comportamenti dei dipendenti in quanto non costituisce attività di monitoraggio dell’esatta esecuzione della prestazione lavorativa e pertanto non è in conflitto con la normativa vigente.
In conclusione, le pause lavorative rappresentano un diritto riconosciuto al lavoratore dalle norme ma l’abuso sistematico determina uno scarso rendimento con conseguente lesione dell’interesse del datore di lavoro a un’esatta esecuzione della prestazione di lavoro.
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